In un momento come quello che stiamo vivendo, legato alle limitazioni disposte dal D.P.C.M emanato in merito alla situazione generata dal COVID-19, stiamo sperimentando tutti un netto rallentamento dei nostri ritmi quotidiani.
Da società produttiva, legata all’etica del fare, stiamo passando verso una società che pone di fronte allo specchio non tanto il nostro saper fare quanto il nostro saper essere.
Per i bambini, in particolare, è cambiata la modalità di fare didattica, ci si è adoperati per costruire mezzi alternativi per garantire l’istruzione. Di fianco a tutta questa operosità, mi chiedo, quanto in parallelo si sia sviluppato anche un pensiero legato a questa modalità di fare istruzione.
Pensando proprio a questo quadro connotato da un tempo dilatato, quasi sospeso, in cui non abbiamo più fame di tempo, ma in cui si aprono possibilità di pensiero, si potrebbe andare oltre la semplice tecnica e pensare ad una scuola che sia in grado non solo di garantire l’istruzione ma insegnare ad apprendere partendo dai bisogni dei bambini.
Rispetto a questo tema, mi viene in mente, il famoso libro di Gianfranco Zavalloni “La pedagogia della Lumaca”.
Il testo descrive in modo esemplare come la nostra società caratterizzata dalla necessità impellente di produrre ed ottenere profitti e risultati, abbia accellerato il proprio tempo, adattando tale modello anche all’attività scolastica, costringendo i bambini a rincorrere il raggiungimento di obiettivi dettati dai programmi ministeriali.
Zavalloni sottolinea proprio come l’apprendimento sia una capacità che ognuno esercita secondo i propri tempi, pertanto lasciare ad ogni alunno il proprio tempo per apprendere, se può sembrarci tempo vuoto e perso, al contrario è il modo più adeguato per stimolare l’interesse e favorire i processi di apprendimento.
Per applicare tale pensiero bisognerebbe partire dal costruire una buona relazione educativa tra discente e docente e dedicare tempo al dialogo con gli alunni; infatti non si può pensare di trasferire nozioni senza aver dato spazio alla conoscenza dell’altro, ovvero della storia degli alunni attraverso il dialogo e il confronto, costruendo così una relazione empatica.
D’altronde l’ascolto è un’esperienza fondamentale per la didattica ed è un pilastro che serve a costruire con il discente quell’empatia che rende l’insegnamento efficace e lo porta a connotarsi all’interno delle relazioni d’aiuto.
Zavalloni nel suo testo giunge alla conclusione che un apprendimento significativo deve passare attraverso alcune esperienze fondamentali, individuandone tre:
• il gioco
• lo studio
• il lavoro manuale
La didattica così dovrebbe partire dai bisogni di conoscenza dei bambini, dando loro il giusto soddisfacimento e alimentando il loro interesse, senza seguire una scansione temporale rigida rispetto le discipline di studio.
Inoltre l’autore afferma che le classi dovrebbero essere organizzate in gruppi ristretti di massimo 16 alunni, questo per favorire il lavoro in piccoli gruppi attraverso il cooperative learning e per permettere anche l’espressione delle potenzialità del singolo. In questo modo la scuola diventerebbe realmente uno spazio di crescita dove ad ogni soggetto è data la possibilità di apprendere secondo i propri ritmi e di promuovere la socializzazione con l’altro, il confronto e lo sviluppo di un pensiero critico.
Tale modalità porta l’alunno a mobilitarsi rispetto la ricerca delle informazioni, lo rende parte attiva nel processo di conoscenza e non elemento da riempire, passando da un’attività passiva, quale l’essere formato, verso l’autoformazione nei livelli di istruzione di grado superiore. Nessuno sarebbe lasciato indietro ma semplicemente seguirebbe la linea individuale dei propri bisogni di conoscenza.
Un altro tema centrale della “Pedagogia della lumaca” è quello legato all’attesa, perché il tempo dell’attesa è quel tempo in cui ci si sofferma ad osservare, a guardare le cose con attenzione, a scoprire il mondo che ci circonda, ma allo stesso modo l’attesa è quel tempo in cui ci si sofferma anche su sé stessi per scoprire le proprie capacità e apprezzare le risorse che si hanno a disposizione senza tralasciare l’indagine anche rispetto alla conoscenza di sé stessi.
La pedagogia della lumaca riflette anche sul modello di apprendimento tipico della nostra società che si basa e concentra sulle sole capacità cognitive, dando ampia importanza all’intelligenza e allo studio mnemonico. Al contrario Zavalloni, rifacendosi al testo di Goleman l’“Intelligenza emotiva”, crede che oltre alla prospettiva maggiormente scientifica basata su di un’intelligenza misurabile e legata alla prospettiva esclusivamente cognitiva, vi sia l’uso di un intelligenza più creativa, che parte dal desiderio attivo del bambino rispetto alla conoscenza. In tale modo è il bambino che costruisce la sua conoscenza in base alle proprie capacità e alle proprie risorse.
Pertanto questo testo invita a riflettere quanto l’apprendimento sia un’esperienza assolutamente individuale, caratterizzata però non dalla passività dell’apprendere ma dal far emergere nel soggetto la voglia di apprendere seguendo le proprie capacità e i propri bisogni.
La lentezza di questo periodo, infatti, sta avvicinando oggi più che mai le due istituzioni in cui i bambini vivono, la famiglia e la scuola, che ultimamente per contro si erano allontanate e guardate non più come alleate ma come antagoniste.
Pertanto si spera che tali istituzioni ripensino all’offerta formativa, valutando che alla base di ogni apprendimento in primis c’è una vera ed autentica relazione, senza la quale è impossibile trasferire conoscenze. Quindi mai come oggi siamo stati obbligati a rallentare, a fermarci, ci siamo riappropriati del tempo, nella speranza che proprio questo tempo donato venga investito di significati e non resti un tempo vuoto. Arrivando così a costruire una didattica di tutti e non per tutti.
Dott. Luca Pugliese